“I ragazzi che stanno in un carcere sanno bene cosa significa essere dimenticati”. La maggior parte di quelli reclusi nell’Istituto penitenziario di Treviso sono “extracomunitari” secondo le regole dello Stato. E lo sono anche se le loro madri hanno partorito in Italia. “Espellerli significherebbe destinarli a luoghi che non hanno mai conosciuto” dice Christine Gaiotti, che ha iniziato a occuparsi di minori detenuti quattordici anni fa, come formatrice dell’Engim Veneto. Christine ha capito che l’insegnamento del “metodo” non basta, che quello di cui hanno bisogno i suoi ragazzi è la “motivazione”, la trasmissione di un ideale più grande per cui vale la pena mettersi in gioco da un luogo disumanizzante come il carcere.
Per questo l’Engim che dal 2003 organizza il progetto ‘Bottega grafica’ ha scelto di accettare commissioni solo da Enti pubblici, dal volontariato e dal terzo settore. Alcuni minori ricevono un compenso e imparano ad assaporare il mondo del lavoro, altri accendono il computer e danno sfogo alla creatività per sentirsi vivi. “Quando ho parlato di S.O.S. Scuola la prima reazione è stata di distacco, i ragazzi pensavano che avrebbero lavorato per quelli che loro classificano genericamente come ‘adulti’ – racconta Christine –, hanno un’immagine dell’adulto distorta, che li picchia e li porta sulla cattiva strada, che non si spende per la giustizia sociale né tanto meno per loro”. Ha segnato il cambio di prospettiva solo l’idea di contribuire a un progetto che avrebbe coinvolto i loro coetanei. Così hanno realizzato il logo di S.O.S. Scuola, la cartellonistica e la segnaletica sparsa un po’ dappertutto nel Liceo Linguistico Cassarà di Palermo.
Christine è arrivata nel capoluogo siciliano per fotografare ogni centimetro di “miracolo”; le pareti rimbiancate, gli abbellimenti artistici, la messa in sicurezza della palestra. Ogni faccia e momento della giornata. I suoi occhi sono quelli dei ragazzi in carcere: “Questi scatti sono l’abbraccio collettivo che voglio portare a Treviso – dice – e ne hanno assoluto bisogno, sono ragazzi di una solitudine e sofferenza spaventosa che riescono a sopperire a questa mancanza d’amore sentendosi riscattati dal lavoro per gli altri”. Ed è anche l’unico modo per dirgli che infondo in Sicilia ci sono stati dal 21 luglio (giorno in cui sono iniziati i lavori al Cassarà), per spiegargli che la comunità palermitana gli è grata e che molti, ancora una volta, sono stati “obbligati” a riconoscere il valore sociale dei percorsi educativi in carcere. “La scuola che ho visto quando sono arrivata ricordava tantissimo un carcere, perché non era conosciuta dall’esterno e non era partecipata – dice l’operatrice dellEngim – ora invece è un via vai di bambini e bambine del quartiere, studenti, docenti, volontari. La scuola che prima era dello Stato è diventata patrimonio di tutti”. Anche dei detenuti di Treviso. Che a Palermo sono stati idealmente dietro la cattedra, a dare lezione di senso civico.