Si chiamano Gea Di Bella e Emanuela Alongi le studentesse del Liceo Linguistico Ninni Cassarà che con il lavoro “Mafia: è davvero cosa nostra?” si sono aggiudicate una menzione speciale alla premiazione del concorso “News contro le mafie” in memoria di Giuseppe Fava lo scorso 3 giugno. L’iniziativa è stata promossa dalla direzione generale per lo studente, l’integrazione, la partecipazione e la comunicazione del ministero dell’Istruzione e dalla Fondazione Fava, in collaborazione con l’Ansa.
«Quando abbiamo capito la tematica è stato spontaneo focalizzare l’attenzione sulla mafia che si vede quotidianamente a Palermo – racconta Gea – la mafia è una mentalità più che un’organizzazione criminale, non è necessario avere una pistola per essere mafiosi e molta gente lo sa e semplicemente lo ignora». Le fa eco Emanuela: «Palermo è una città dalle mille contraddizioni: noi non abbiamo fatto altro che evidenziarne alcune attraverso questo breve articolo. Del resto, per combattere il nemico, bisogna conoscerlo».
Mafia: è davvero cosa “nostra”?
Palermo è una città ricca di contraddizioni. Si potrebbero descrivere minuziosamente gli atti di coscienza e di coraggio delle persone che, sempre di più, lottano in maniera attiva contro la mafia: locali, associazioni, negozi, i quali sono coscienti del loro impegno sociale e civile e lo perseguono con coerenza. Ma, a guardar bene, facendo lo sforzo di superare lo stereotipo del mafioso con il fucile e la coppola o del padrino che biascica parole mentre accarezza un gatto, ci si rende conto che ancora è lunga, molto lunga la strada per depurare le persone dalle scorie della mentalità mafiosa. La nostra generazione è cresciuta con gli “ordinari” eroi della lotta alla mafia e ci hanno insegnato che “cosa nostra”, non è proprio “nostra”; questo perché abbiamo avuto un’educazione (scolastica e familiare) che ha istruito all’antimafia. Eppure, vivendo di giorno in giorno per le strade della città, si può constatare quanto la mafia serpeggi ancora, quanto ancora sembri, in effetti, nostra.
La mafia è nei mercati abusivi, nei bambini di dieci anni che si organizzano in piccole bande per minacciare con il coltellino e rubare telefoni e portafogli (ingiustizia, questa, dettata da genitori che li abbandonano a se stessi), nelle persone che non hanno il minimo rispetto né per il luogo pubblico né per le persone che ci si ritrovano, come succede negli autobus, o per le strade sempre trafficate, pretendendo di avere ragione e zittendo chi invece cerca di ribattere ragionando; nell’immondizia che non viene raccolta in tempo e in quella gettata con noncuranza. Perché tutti questi esempi, che certamente possono sembrare delle esagerazioni? Perché il menefreghismo e l’indifferenza con cui conviviamo sono la rappresentazione dell’ingiustizia, insinuatasi in maniera così subdola che non sembrerebbe nemmeno vero. Giorno 11 marzo 2014, nei pressi del castello della Zisa, è stato ammazzato un uomo di 47 anni, Giuseppe Di Giacomo, con dei colpi di pistola, davanti al nipote di soli 9 anni; Di Giacomo era un pregiudicato ed è stato confermato si trattasse di un omicidio a stampo mafioso. Il fatto ha creato il suo scandalo, soprattutto per gli abitanti di quella determinata zona, ma poi nulla di più, questo perché finché tutti noi saremo totalmente indifferenti saremo sempre complici, e la complicità non è ingiusta? Non dovrebbe perciò essere illegale?
Provando a chiedere in giro “cos’è illegale a Palermo?” molti hanno risposto, con un sorriso amaro e sarcastico “guardati intorno”. E ancora, alla domanda “dov’è che vedi la mafia?” alcuni hanno iniziato a raccontare di bar che non fanno lo scontrino fiscale e di professori che raccomandano, di datori di lavoro che pagano in nero e di maleducati che superando da destra pretendono, con fare intimidatorio, di zittire perché per qualche strana legge della giungla della loro mentalità, hanno ragione loro. Dunque esiste una certa coscienza che suggerisce a tutti noi che la mafia non è solo quello che sporadicamente si sente alla televisione e nei giornali, e dovremmo proseguire così fino a cambiare definitivamente le cose. I cambiamenti cominciano dai piccoli gesti, dal rendersi conto che queste cose possono influire, che siamo tutti complici perché l’indifferenza è il vero male. E cosa nostra non sarà più nostra, né, si spera, proprio di nessuno.
di Gea Di Bella e Emanuela Alongi